CALCE IN CUCINA? CERTO!

La cucina è forse la cosa più vicina alla chimica. Quando cucino, spesso mi sento come nel mio laboratorio, tranne che invece di spettrofotometri, vetreria varia e composti chimici, ho mestoli e padelle. Cuocere i cibi e miscelare alla perfezione i vari ingredienti è come eseguire alla perfezione un’ esperienza di laboratorio!

Devo dire che negli anni da studente universitario le conoscenze di chimica sono state molto utili in cucina. Inizialmente non facevo caso agli aspetti fisici e chimici del cucinare, come quasi fosse una cosa meccanica fare un piatto di pasta o cuocere una fetta di carne, ma effettivamente dietro c’era un mondo fatto di trasformazioni chimiche.

Ultimamente, invece sono molto curioso di leggere e studiare anche la storia del cibo, perché il cibo è cultura, profuma di storie antiche, racconta il nostro passato ed è una cosa che unisce tutti.

Oggi si parla molto di più rispetto al passato di alimenti e cibo, spesso leggo in rete anche molte notizie che cozzano con la scienza, insomma “bufale informatiche”, dove l’unico scopo sembra terrorizzare il consumatore con la disinformazione e le pseudoscienze.

Oppure non si spiega in dettaglio il ruolo di alcuni ingredienti o composti chimici nella preparazione di molti alimenti. E’ quello che capita con alcuni additivi alimentari, ad esempio, dove forse i nomi scritti in “chimichese” o con simboli e codici destano preoccupazione verso i meno avvezzi alla chimica.

Oggi parliamo di uno di questi additivi, conosciuto da moltissimo tempo e usato molto in campo alimentare e che il suo uso è stato fondamentale per la realizzazione di alcuni tra gli alimenti più consumati dall’uomo.

Conosciuto con il termine poco tecnico di “calce viva”, ma i chimici lo chiamano più propriamente ossido di calcio.

L’ossido di calcio, dalla formula chimica CaO, è un ossido basico che a temperatura ambiente si presenta come un solido bianco e inodore. È un composto irritante, quindi è fondamentale maneggiarlo con cautela.  

La maggior parte delle persone, leggendo questo breve prefazione sarebbe indotta a credere che tale composto non dovrebbe mai essere utilizzato nel cibo. Diciamo che la questione non è così semplice, soprattutto perché siamo naturalmente portati a dividere i cibi in buoni o cattivi.

Ma la sua versatilità in questo campo lo rende un composto molto interessante.

Un esempio di usi della calce viva è nella sua reattività in acqua, infatti l’ossido di calcio miscelato con l’acqua genera una reazione esotermica secondo questa reazione:

{\displaystyle {\ce {CaO\ +\ H2O->Ca(OH)2\ +1136{\frac {kJ}{kg}}\,di\,CaO}}}

Sfruttando il calore che si genera da questa reazione, viene utilizzata spesso per produrre bevande in lattina calde. Ma non è particolarmente efficiente, producendo circa 60 calorie di energia per grammo di reagente (una caloria si scalda di un millilitro di acqua per 1 ℃).

L’idrossido di calcio, Ca(OH)2 noto anche come “calce spenta”, a causa della sua proprietà di base forte ha molti vari usi, soprattutto in alcuni campi come nell’industria alimentare per l’elaborazione dell’acqua (per produzione di alcool e bibite analcoliche), nell’agro-chimica per neutralizzare l’acidità del terreno, nell’industria petrolchimica per produrre grassi solidi o in odontoiatria, per la medicazione di denti il cui canale radicolare è in necrosi. 

Io sono sicuro che pochi di voi avete mai sentito che nella fasi preliminari della lavorazione dello zucchero o del mais di usa la calce. Anzi, molti che leggono tra gli ingredienti questo composto o il suo simbolo E526 storceranno il naso. Eppure è utilizzato come additivo alimentare nella sezione regolatore dell’acidità e antiagglomerante. Questo additivo è considerato sicuro dalle autorità sanitarie e non è stata stabilita una dose giornaliera accettabile (DGA).

E se invece vi dicessi che la calce ha permesso la realizzazione di alimenti che probabilmente senza il suo impiego sarebbero sconosciuti oggi?

Avete mai mangiato una piadina di mais? Probabilmente si e se siete amanti del cibo messicano avrete sicuramente mangiato le tortillas o i tacos! Ecco questi alimenti sono realizzati con la farina di mais.

A differenza del grano, il mais non contiene glutine, infatti è un cibo utile soprattutto per i celiaci, ma difficilmente impastabile, in quanto il glutine è un complesso proteico insolubile in acqua, che conferisce agli impasti viscosità, elasticità e coesione.

Il glutine (e la celiachia) - Dolci e Pani

E allora come è possibile avere oggi tutta una serie di alimenti impastati a base di mais? La risposta affonda le sue radici probabilmente nelle Mesoameriche. Il mais era alla base dell’alimentazione nelle civiltà antiche dei Maya e Azteca. 

La grande differenza con le farine di grano, sta nel trattamento del mais: un processo noto come nixtamalizzazione.

La nixtamalizzazione è un processo che prevede l’ammollo di un grano in una soluzione altamente alcalina per allentare lo scafo esterno, noto come pericarpo.

Componenti principali della cariosside di mais

Nixtamal è una parola della lingua nahuatl formata da nextli, cenere e tamalli, involtini di foglie di mais o banano ripieni di mais.

Il processo rende i chicchi più facili da macinare e maneggiare. Gli archeologi non sono esattamente sicuri quando fu scoperta la nixtamalizzazione, ma è sicuro dire che è stata praticata da almeno 2000 anni a.C., e potrebbe essere molto più antica. I primi resti solidi di nixtamalizzazione risalgono al 1500 circa a.C. e furono scoperti in Guatemala.

Successivamente il nixtamal veniva macinato ottenendo un impasto umido che in spagnolo prende il nome di masa e che può essere usato tale e quale; oppure l’impasto viene seccato diventando una farina.

Molto probabilmente gli antichi Maya e successivamente la civiltà Azteca, producevano la calce viva dalla reazione di decomposizione del carbonato di calcio, derivato da conchiglie:

CaCO3(s) → CaO(s) + CO2(g)

L’acqua e il calcio penetrano all’interno gonfiando il chicco e gelatinizzando parzialmente l’amido. Successivamente il liquido viene gettato e i chicchi vengono lavati più volte per eliminare l’eccesso di calcio.

Anche dal punto di vista aromatico la calce partecipa alla formazione di aromi.

Noi conosciamo il mais dopo i primi viaggi di Cristoforo Colombo nel 1492, e oggi è un cereale di grande interesse per le sue attitudini produttive e applicative, a livello mondiale esso di pone al terzo posto dopo frumento e riso per superficie investita e produzione e al primo posto per produzione unitaria.

In Italia fa parte della cultura gastronomica di molte regioni, soprattutto Settentrionali. Pensate alla polenta, il cibo che molti contadini usavano come sostentamento principale perché era un prodotto a basso costo. Nel passato, infatti, nei paesi nei quali il mais era alla base dell’alimentazione spesso scoppiavano casi di pellagra. La pellagra è una malattia causata dalla carenza o dal mancato assorbimento di vitamine del gruppo B, niacina (vitamina PP), o di triptofano, amminoacido necessario per la sua sintesi. 

Niacin structure.svg
Niacina o vitamina B3

La pellagra è responsabile di un quadro clinico detto “delle tre D”: demenza, dermatite e diarrea. Uno strano legame tra malattia e dieta già nell’800 era stato notato, ma inizialmente si pensò che la causa fosse un contaminante nel mais.

Si dovette aspettare solo il 1937, quando Conrad Arnold Elvehjem e i suoi colleghi dell’Università del Wisconsin-Madison riuscirono a dimostrare che l’acido nicotinico, isolato per la prima volta nel 1912 da Kazimierz Funk scambiandolo però con un’altra sostanza, aveva la proprietà di guarire una malattia dei cani nota per la sua sintomatologia come black tongue (Lingua nera villosa), nota da tempo per essere equivalente alla pellagra umana.

Il vero problema non era la mancanza di queste vitamine nel mais, ma la niacina del mais non era facilmente assorbibile dal nostro corpo perché legata all’amido del chicco. Ecco perché il processo chimico della nixtamalizzazione libera i nutrienti e la vitamina PP, rendendole accessibili al nostro corpo. Motivo per cui le popolazioni delle mesoameriche non soffrivano di nessuna carenza da vitamina PP.

E’ utile comprendere i processi chimici, anche se parliamo di cibo, la conoscenza di questi meccanismi ci svela le paure e le incertezze celate, faremo scelte più responsabili e scevre da fobie infondate.

La prossima volta che leggerete calce viva o additivo chimico E526 sarete sicuramente più tranquilli e vi gusterete in pieno il sapore della vostra piadina di mais!

Dott. Francesco Domenico Nucera


FONTI:

http://www.waterandfoodsecurity.org/scheda.php?id=37

https://www.altroconsumo.it/alimentazione/sicurezza-alimentare/calcola-risparmia/banca-dati-additivi-alimentari/dettaglio/E526

https://nahuatl.uoregon.edu/content/nextli

https://web.archive.org/web/20160304094635/http://www.gastrosofia.it/2012/05/28/la-polenta/

Carpenter, K. J. (1983). The relationship of pellagra to corn and the low availability of niacin in cereals. In Nutritional Adequacy, Nutrient Availability and Needs (pp. 197-222). Birkhäuser Basel.

Elvehjem, C. A., Madden, R. J., Strong, F. M., & Woolley, D. W. (1938). The isolation and identification, of the anti-black tongue factor. Journal of Biological Chemistry123, 137-149.

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