Questa estate sono tornato a visitare il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria dopo tantissimo tempo. Il Museo negli anni è stato migliorato e soprattutto la suddivisione delle stanze e dei piani è stata magistralmente adattata alle esigenze del turismo attuale.




La mia visita a dir la verità non è stata un caso, perché proprio nel 2022 si festeggiano i 50 anni dei Bronzi di Riace.

I Bronzi furono ritrovati nel 1972, in eccezionale stato di conservazione, sul fondo del mar Ionio, nei pressi del comune di Riace Marina, da un appassionato subacqueo durante un’immersione a circa 200 m dalla costa ed alla profondità di 8 m.
Immaginate l’emozione e la paura di un sub di ritrovarsi sul fondo del mare due giganti del genere! Ma cosa ci azzecca la chimica qui? Beh intanto il sub che ritrovò i due Bronzi il 16 Agosto del 1972 era un chimico romano, Stefano Mariottini.

Come si evince dalla denuncia depositata nel 17 agosto 1972 con Protocollo n. 2232, presso la Soprintendenza alle antichità della Calabria a Reggio, in cui Stefano Mariottini “… dichiara di aver trovato il giorno 16 c.m. durante una immersione subacquea a scopo di pesca, in località Riace, Km 130 circa sulla SS Nazionale ionica, alla distanza di circa 300 metri dal litorale ed alla profondità di 10 metri circa, un gruppo di statue, presumibilmente di bronzo. Le due emergenti rappresentano delle figure maschili nude, l’una adagiata sul dorso, con viso ricoperto di barba fluente, a riccioli, a braccia aperte e con gamba sopravanzante rispetto all’altra. L’altra risulta coricata su di un fianco con una gamba ripiegata e presenta sul braccio sinistro uno scudo. Le statue sono di colore bruno scuro salvo alcune parti più chiare, si conservano perfettamente, modellato pulito, privo di incrostazioni evidenti. Le dimensioni sono all’incirca di 180 cm.”
PRIMI INTERVENTI DI RESTAURO
Una volta “ripescati”, nella seconda metà degli anni Settanta del Novecento furono sottoposti a un primo intervento di restauro (soprattutto esterno, quindi estetico, legato alla rimozione delle concrezioni marine) nei laboratori della Soprintendenza archeologica della Toscana a Firenze. A fine intervento, tra il 1980 e il 1981, si poterono ammirare al Museo archeologico nazionale per sei mesi.
Nel 1984 fu eseguita una prima endoscopia con una microcamera, la quale rilevò pericolose corrosioni che erano all’interno delle sculture. Ed è proprio in questo momento che i Bronzi vennero analizzati in maniera più dettagliata, riuscendo a carpire alcuni segreti, come alcune impronte digitali e tracce delle manovre compiute dalle mani dell’uomo per creare queste due sculture.
Le statue sono oggi esposte al Museo Archeologico di Reggio Calabria, dove sono tornate nel dicembre 2013 dopo il restauro del museo, tutt’ora in corso.
Ma cosa rende questi due enormi uomini di bronzo così importanti e unici per l’arte italiana?
Dopo mezzo secolo i Bronzi di Riace sono ancora avvolti nel mistero. Ancora non sappiamo moltissime cose? L’età della realizzazione delle statue, chi fossero realmente e soprattutto come fecero ad arrivare presso le coste della Calabria. Anche se dopo i numerosi restauri e studi minuziosi possiamo provare a rispondere ad alcune delle domande che ci siamo posti nel corso del tempo.
I Bronzi di Riace sono alti 1,98 e 1,97 metri e pesano 160 kg. Raffigurano due uomini completamente nudi, con barba e capelli ricci, il braccio sinistro piegato, e il destro disteso lungo il fianco. Ambedue indossavano un elmo, impugnavano una lancia o una spada nella mano destra e reggevano uno scudo con il braccio sinistro.


I due bronzi sono stati rinominati statua A e statua B, per alcuni invece il Giovane e l’Adulto.


Probabilmente per le pose e alcune differenze tecniche, le due statue non vennero realizzate dallo stesso artista. Ed è forse proprio la tecnica di realizzazione che ci ha permesso di conoscere molto probabilmente sul luogo e il periodo. I due busti vennero realizzati utilizzando un modello di cera per farne uno stampo di argilla su cui far colare il bronzo fuso (la cosiddetta fusione a cera persa). Poiché l’argilla rimase all’interno dei bronzi fino ai numerosi restauri di questi anni, sappiamo che furono prodotti ad Argo e ad Atene, come ha dimostrato l’esame delle terre di fusione eseguito dall’Istituto Centrale del Restauro di Roma, nelle botteghe dei migliori artisti dell’antichità, durante il V secolo a. C. Durante questo mezzo secolo di studi molti furono i nomi dei probabili autori di queste due straordinarie opere: secondo alcuni il Giovane fa parte dello stile detto Severo, tra il 480 e il 450 a.C., mentre l’Adulto dello stile Classico, almeno trent’anni più tardi.
Tra i nomi più altisonanti dei possibili autori troviamo Fidia, il più straordinario artista chiamato da Pericle alla realizzazione dell’Acropoli di Atene. Inoltre secondo l’iconografia antica, la “nudità eroica” in cui vengono mostrati i Bronzi identificava dei ed eroi. Quindi molto probabilmente i due Bronzi potrebbero essere eroi. Secondo un’altra ipotesi invece i due erano guerrieri: un greco e un trace. Sappiamo che impugnavano uno scudo nella sinistra e, secondo la maggior parte delle ipotesi, una lancia nella destra, mentre in testa, reclinato all’indietro, come usava nei momenti di riposo, portavano un elmo corinzio.
Qui la chimica ci può supportare! Infatti le terre di fusione estratte dal loro interno sono compatibili con le terre argillose di un’area circoscritta tra Atene, Corinto ed Argo. Premesse per introdurre l’ipotesi più clamorosa: i Bronzi di Riace potrebbero rappresentare gli Ateniesi Temistocle e Pericle. Politici di spicco e militari famosi per aver guidato gli eserciti alla vittoria nelle più importanti guerre nel V secolo a. C. L’ipotesi è fondata sulla comparazione dei risultati delle analisi effettuate dal Ministero per i Beni Culturali con gli studi anatomici, le deduzioni e le ricerche storiche che svolte da Partinico sin dal 2005. E le analisi chimiche, tecniche ed archeologiche condotte dall’Istituto Centrale per il Restauro supporterebbero l’ipotesi. La “Statua A” risulta realizzata nel 460 a.C. e la “Statua B” nel 430 a.C., periodo storico quindi coincidente con l’“Età di Pericle”.
Sono state scoperte grazie ad analisi approfondite che le ciglia erano di argento e che la linea degli occhi era realizzata in avorio e pasta vitrea. Le labbra di rame sono socchiuse e lasciano vedere i denti realizzati in argento.

Sempre da analisi chimiche si è potuto comprendere che le statue non fossero come si pensava monocromatiche. Furono scoperte tracce di trattamenti allo zolfo che venivano usati per modificare il colore del materiale originario, su cui si inserivano anche inserti decorativi o bitume come legante.
Le analisi del metallo di cui sono fatte le due statue ha dato inoltre un altro importante indizio: le percentuali di fusione di rame e stagno indicano che il bronzo era di un color biondo. Questo potrebbe suggerire che la composizione iniziale della lega metallica aveva un contenuto di stagno superiore al 5% ma inferiore al 10%.
LA CHIMICA DEL BRONZO NELLA STORIA
Il bronzo è una delle tecniche scultoree più complesse. Si possono in questo modo realizzare dettagli sottili come le ciocche delle capigliature e delle barbe, particolari anatomici minuti, come quelli del volto, delle mani e dei piedi. Per questi motivi gli scultori greci la prediligono nel V secolo a. C.
Ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di comprendere la chimica delle leghe metalliche, perché la sua comprensione ci può dare delle risposte sulla storia e sulla tecnologia dei popoli antichi. Il bronzo è la lega più antica, talmente importante che gli storici coniarono un’intera era basata su questa lega.
L’espressione “età del bronzo” indica infatti, un periodo che va dagli ultimi secoli del III millennio a.C. fino agli inizi del I millennio a.C.. In particolare, i primi oggetti di bronzo comparvero verso il 3000 a.C. in Mesopotamia e nell’Anatolia; intorno al 2500 a.C. i Sumeri utilizzavano il bronzo per fabbricare armi e strumenti. Intorno al 2000 a.C. la metallurgia del bronzo sostituì gli altri tipi di leghe, sia in Europa, sia nel Vicino Oriente.
Il bronzo è una lega metallica formata principalmente da due elementi chimici distinti: rame e stagno.


Il rame è l’elemento chimico di numero atomico 29. Il suo simbolo è Cu. Con ogni probabilità il rame è il metallo che l’umanità usa da più tempo: sono stati ritrovati oggetti in rame datati 8700 a.C. Il rame è un metallo rosato – rossastro, caratterizzato da conducibilità elettrica e termica elevatissime, superate solo da quelle dell’argento. È molto resistente alla corrosione (per via di una patina aderente che si forma spontaneamente sulla superficie, prima di colore bruno e poi di colore verde o verde-azzurro) e non è magnetico. È facilmente lavorabile, estremamente duttile e malleabile.
Lo stagno, invece, è un elemento chimico nella tavola periodica che ha numero atomico 50 e simbolo Sn. Lo stagno non è facilmente ossidato e non resiste alla corrosione. I romani lo importavano dalla Cornovaglia, sotto forma di minerale, la cassiterite, SnO2. Inoltre lo stagno presenta un particolare polimorfismo: sotto i 13,2 °C è stabile la forma allotropica alfa, detta stagno grigio, che ha una struttura cristallina cubica molto simile al silicio e al germanio. Sopra la temperatura limite di 13,2 °C invece è stabile la seconda forma allotropica, stagno beta, detto anche stagno bianco con una struttura cristallina tetragonale.


In genere i bronzi contengono anche fosforo, piombo, zinco o berillio, a seconda dalle necessità di lavorazione. Questa lega venne utilizzata per soppiantare il rame, che per la sua fragilità, era poco utili per la realizzazione di tutta una serie di opere. Orazio definì in alcuni sui testi questa lega come simbolo di maestosità e durevolezza.
Dal punto di vista chimico aveva pienamente ragione.
Attualmente il bronzo è generalmente costituito dall’88% di rame e dal 12% di stagno. A seconda degli utilizzi. Lo stagno conferisce durezza e in lega con il rame ne diminuisce la tipica malleabilità, infatti leghe con un maggior tenore di stagno sono più dure ma meno malleabili. Da un punto di vista chimico la superficie del bronzo tende a corrodersi. Esso tuttavia mostra una buona resistenza a atmosfere industriali e marine e se opportunamente rivestito anche ad acidi deboli, motivo per il quale i bronzi di Riace hanno resistito all’azione del mare per secoli.
La composizione varia sia per quanto attiene il tenore dei due principali elementi sia per l’aggiunta di altri elementi.
Aumentando la percentuale di stagno si ricavano leghe con durezza maggiore e, quindi, minore malleabilità. Fino al 6% di stagno, si ha un bronzo malleabile, dal 6 al 18% di stagno si ha una lega molto resistente tipica per costruire armature e cuscinetti. Solitamente si riscontra, come limite di malleabilità a caldo o a freddo, il 15% di stagno in lega. Percentuali maggiori rendono infatti processi impieganti tale tipo di lavorazione proibitivi. Le leghe con percentuali attestate attorno al 22% sono comunemente impiegate per fusi quali campane e, fino a non molte decadi fa, cannoni. Leghe con il 33% di stagno formano una lega durissima impiegata in ambienti di nicchia per apparecchi di uso specifico data la sua elevata fragilità. Le leghe bronzee hanno una colorazione che varia a seconda della percentuale di stagno apparendo rosso dorato in forte presenza di Rame. Colore che sbiadisce verso pallidi gialli argentati all’aumentare delle percentuali del metallo alligante.

Anche per la loro chimica, I Bronzi di Riace sono considerati tra le testimonianze più significative dell’arte greca classica.
Ma nonostante tutto, numerosi interrogativi rimangono ancora senza risposta. Come sono arrivati lungo le coste di Riace? Molto probabilmente arrivavano dalla Grecia e andavano a Roma o dintorni e la nave che li portava se ne sbarazzò quando il pericolo del mare rese il carico insopportabile. Eppure Il viaggio dei Bronzi di Riace potrebbe non essere finito.
Una cosa comunque è certa, per la precisione e la tecnica di realizzazione dei particolari delle statue, questi bronzi sono la prova della bellezza dell’arte greca. La bellezza dell’uomo greco era eleganza, e questo lo possiamo notare dal petto muscoloso, spalle larghe, glutei forti e membro piccolo. Già il membro maschile per l’epoca dei greci era considerato diversamente dai canoni moderni, infatti, il membro lungo e grosso definiva un uomo volgare, selvaggio, in generale barbaro.
Si tratta di una scoperta eccezionale tra le opere d’arte più conosciute e apprezzate al mondo e anche per questo motivo meritano una visita, ricordandoci che la Calabria è una terra ricca di bellezze naturali e storiche.
Quindi tra una passeggiata sul “chilometro più bello d’Italia” e dopo aver fatto una nuotata nel mare cristallino, il passaggio al Museo di Reggio Calabria è d’obbligo! Ovviamente non dimenticando di mangiare un buonissimo gelato nella storica gelateria da Cesare.
Dott. Francesco Domenico Nucera
FONTI:
https://www.museoarcheologicoreggiocalabria.it/project-details/i-bronzi-di-riace/
https://www.chimicamo.org/chimica-generale/bronzo/
https://www.unica.it/static/resources/cms/documents/ChimicadeibeniculturaliLezione14Metalli.pdf
https://iscamapweb.chem.polimi.it/citterio/wp-content/uploads/sites/2/2018/03/CI_04c_stagno.pdf
Alberto Angela, I bronzi di Riace. L’avventura di due eroi restituiti dal mare, Rizzoli, 2014, ISBN 978-88-17-07554-1